TERRA E COLONI SENZA LATIFONDO.

Un sogno infranto documentato nella mostra fotografica UTOPIA di Attilio Bixio sul borgo rurale Taccone di Irsina.
Può un territorio essere abitato dall’utopia? Quanto deve essere esteso un campo agricolo per assicurare un reddito dignitoso a chi lo coltiva? Allo spopolamento dei piccoli paesi corrisponde anche un abbandono delle campagne? Qualche risposta a queste domande ha provato a darle la mostra fotografica di Attilio Bixio appena conclusa presso lo spazio Stratosfera di via della Meccanica, 5 a Potenza. Al finissage sono intervenuti Francesco Cosenza, direttore della rivista “Come@potenza”, Enzo Fierro operatore culturale, Rosangela Bruno storica dell’Archivio di Stato e Giampiero d’Ecclesiis geologo. L’esposizione intitolata proprio Utopia, ha presentato una raccolta di scatti suddivisa in tre sezioni. Il tema centrale era il risultato della Riforma Agraria degli anni 50, come tentativo di superamento del latifondo, attraverso quello che resta degli interventi di ridistribuzione delle proprietà e degli insediamenti che furono realizzati.


La ricerca di immagini mostra lo “stato dell’arte” o meglio di abbandono di un’area ai confini tra Basilicata e Puglia e che insiste nel territorio di Irsina, in provincia di Matera. E nello specifico il borgo di Taccone, lungo la statale 96bis e la provinciale 105. Qui la progettazione abitativa si era spinta ad immaginare un nucleo residenziale autonomo, dotato dei servizi di base per soddisfare le esigenze di una comunità che poteva prevedere 800-1000 abitanti. Scuola, chiesa, ufficio postale, stazione, ambulatori, caserma dei carabinieri e fin’anche un cine-teatro dancing furono costruiti per concretizzare un’aspirazione. Un progetto che presto si rivelò un sogno di difficile realizzazione. Il borgo rurale, come la gran parte degli appezzamenti di terreni affidati ai coloni – secondo una Riforma che interessò oltre 75.000 ettari del territorio meridionale – furono già dai primi anni abbandonati come pure le casette che punteggiavano il presidio delle aree progressivamente lasciate al loro inesorabile degrado. Il documento della situazione attuale è molto esplicito. Edifici, spazi collettivi, abitazioni isolate mostrano gli effetti di decadenza, mancata manutenzione, caduta in rovina. I fondi agricoli, tuttavia, tra morbidi declivi e sinuosi andamenti, testimoniano le tracce di una attività di coltivazione – prevalentemente cerealicola – che resiste ma in forma estensiva e con trattamenti che non escludono i fertilizzanti. Il fallimento della Riforma e del sogno che la Cassa del Mezzogiorno fu incaricata di tenere in vita sono documentate minuziosamente da Attilio Bixio. Anche le variazioni cromatiche e stagionali del territorio, tra i verdi primaverili e i dorati estivi, sottolineano quanto l’intenzione di presidio e ridistribuzione della terra si siano infrante difronte ad un limite condizionante che non permetteva ai nuovi assegnatari di poter vivere con la scarsità dei ricavi che ottenevano dalle coltivazioni.
Nelle altre sezioni delle foto veniva appunto messo in evidenza la contraddizione dei segni (del lavoro agricolo e di aratura sul terreno) con il sogno di poter affrontare un’esistenza fuori dai centri urbani. Andando ancora più indietro nel tempo Bixio ha provato ad intercettare i residui epigoni del tracciato dell’Appia Antica, la Regina Viarum cha da Roma si spingeva fino a Brindisi e che solcava l’Alto Bradano lambendo i terreni della Riforma. Una ulteriore sintonia di quanto la storia del territorio è anche manifestazione di chi lo abita, lo vive o lo abbandona. Una esortazione che nel patrimonio documentale, ricordato dalla storica Bruno, e dalla conoscenza geografica e morfologica suggerita da D’Ecclesiis trova specifiche motivazioni e risposte che quasi non interessano più nessuno. Per lo stesso Bixio, ingegnere e fotografo attento, pluripremiato anche in contesti internazionali, oltre la bellezza e le curiosità visive stampate per questa mostra, resta il rammarico della constatazione di quanto anche la naturalezza e l’armonia del rapporto antropico con il territorio sia diventato sfruttamento intensivo con pratiche agronomiche che nulla hanno a che vedere con conservazione e sostenibilità. Una marginalità non riportata in Utopia – ma spesso associata a queste casette coloniche in disuso e abbandono – è quella di quando questi luoghi remoti si trasformano in riparo e rifugio per i migranti che, schiavizzati e senza diritti, provano a sopravvivere in condizioni disumane, per pochi euro al giorno. Nella ciclica indifferenza e inefficacia delle misure di “accoglienza” che le istituzioni deputate non arrivano a garantire sistematicamente.
Piero Ragone

