#Lettere alla Redazione

Il “mal di vivere” e il peso dell’indifferenza sociale

A cura dello psicologo specializzando in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale e perfezionato in Riabilitazione Neuropsicologica nell’adulto e nell’anziano dott. Alessandro Sileo

Eventi del genere lasciano tutti sbigottiti, bloccati emotivamente e con un’inquietudine fuori dal comune. La scomparsa di un giovane, avvenuta a Potenza nei giorni scorsi, per morte violenta è un episodio sconfortante che non si riesce ad accettare, lasciando incredula tutta una comunità. Tutti vanno alla ricerca delle cause, nonostante esse siano piuttosto palesi.

Il “suicidio” non è sempre dovuto ad un disturbo mentale, bensì da una “ferita narcisistica” conseguente: all’impossibilità di non sopportare a sorreggere il peso della propria esistenza, relegata al fallimento, al giudizio e alla disapprovazione degli altri. Si definisce così il suicidio come “stella polare”, ossia una via d’uscita o gesto estremo ricattatorio, causato dall’angoscia, dal senso di vuoto e di inutilità, dal senso di colpa e dall’autodeprecazione: tutti aspetti che portano al delirio. Le ipotesi sottostanti a togliersi una vita sono: allucinazioni uditive che invitano ad annullarsi nel caso di “disturbo psicotico” con stati depressivi marcati, oppure l’idea di annullarsi scaturisce dalla impulsività e dalla difficoltà di elaborare e contenere le emozioni nel caso di “disturbo borderline”, e dalla deflessione dell’umore nel “disturbo bipolare di tipo II”, i cui momenti di euforia si riducono al lumicino, dando spazio a stati di disperazione senza confini.

🕰Nella “psicosi” si perde di vista il contatto con la realtà, andando incontro ad una follia incommensurabile.

🕰Nella depressione, si è incapaci di futurizzare, cioè di proiettarsi al futuro, di immaginarlo e di progettarlo, poiché vi sono pensieri di autosvalutazione e di colpa ed essi sono fermi in maniera costante nel passato. Il soggetto depresso va alla ricerca del malessere confondendosi su sé stesso, tralasciando il mondo esterno.

🕰Il “borderline” tende molto all’autolesionismo e alla instabilità delle relazioni intime ed interpersonali per non avvertire la sofferenza dell’abbandono da parte dell’altro.

🕰 La persona “bipolare di tipo II” è vittima di una instabilità dell’umore, le cui fluttuazioni precipitano inesorabilmente in una depressione palese.

Dunque, l’umore umano quando precipita produce effetti devastanti. Quando la riserva mentale va in sovraccarico di malessere, la soluzione salutare è la richiesta di aiuto come salvezza, o quella tragica di minimizzare la drammaticità della condizione psichica, tale da interrompere il corso della propria vita. Quando la depressione divampa si annebbia la mente, ci si sente una nullità, si rinuncia al piacere dei propri interessi e a soddisfare i propri bisogni, ad avere predizioni e pensieri negativi, ci si chiude in sé stessi e non si progetta il futuro. La cura è la richiesta di aiuto senza farsi problemi, la volontà di cambiamento e l’empirismo collaborativo col terapeuta. La cura è la ripresa della comunicazione del soggetto sofferente con l’altro (ad es. “Sento che esisto perché mi ascolti”).

Una vita che precipita prematuramente è la conseguenza di una civiltà odierna della immagine, la quale tende ad escludere i buoni, coloro etichettati come tristi depressi e negativi. Quando la situazione di esistenza di qualcuno è critica si pensa che con uno schiocco di dita la persona possa guarire. Noi tutti dovremmo imparare a stare attenti quando il malessere dell’altro è in fase peggiorativa non restando indifferenti. Si è abili a dar suggerimenti ad una persona depressa ma occorre agire: starle vicino, farle compagnia, ascoltarla e non escluderla. Occorre pesare le parole perché il peso della vita di un depresso non è davvero facile da sorreggere. La mancanza di vicinanza di amici e parenti, la mancanza di lavoro (perché chiudere le porte a queste persone?) e gli eventi predisponenti della famiglia d’origine e quelli precipitanti, di scompenso e di mantenimento modellano crudelmente l’esito psicopatologico. Quando

qualcuno crolla pochi si fanno avanti nello stile “effetto spettatore”: tutti che sanno, ma nessuno si muove. Tutti sono impegnati e tutti non hanno tempo. Però, se succede il dramma si sta male e forse ci si pente.

Il salto nel vuoto di un giovane deve far riflettere e elargire sensi di colpa senza precedenti per evitare che ogni sorta di allarme possa concludersi con una tragedia. Oltre la parte civile, il sistema sanitario dovrebbe interrogarsi: perché non proporre servizi domiciliari ricorrenti a utenti psicopatologici cronici, dato che il culmine di una vita è quasi giunto al capolinea?

La vita va preservata in ognuno di noi. Se qualcuno non riesce a sopportarla, il resto del genere umano è chiamato a renderlo protagonista di essa al fine di renderlo gratificato nell’essere apprezzato e aiutato. Lo strazio di togliersi la vita con tutta la preparazione del caso è un evento che fa comprendere quanto un soggetto sia stato deluso dai suoi confratelli e dalle istituzioni. Il dramma del lutto è vivo già prima di compiere il fatal destino. In vita occorre reggere i sofferenti, bensì non ricordarsene quando non c’è nulla da fare. La ricorrenza funebre per alcuni apparsi in quel momento è segno di un trasporto emotivo transitorio, mentre per la famiglia è uno shock e lutto eterno. La fine di un giovane che amava la vita, di una persona logorroica, oratrice e simpatica piena di progetti, amante della cultura e della compagnia è stata stroncata dalla emarginazione di una città, priva di valori morali, troppo incline all’etichettamento estetico e salutare e al pregiudizio conseguente. Tutti abili a fare i maestri della vita altrui e a focalizzarsi sulla trave nell’occhio dell’altro, anziché fare mea culpa sui propri difetti e colpe. Dove è finita la empatia? Come fa una persona a riprendersi al di là della cura farmacologica, psicoterapeutica e il sostegno familiare, se poi l’ambiente circostante è giudicante e lo allontana?

Per chi si sente senza speranza e pensa che la propria vita non abbia più senso ed inutile, il mio invito accorato è di non sentirsi imbarazzati a dire che si sta male, a confessare la propria sofferenza e a chiedere aiuto ad uno specialista. Impariamo a volerci bene e a voler bene gli altri in difficoltà.

Alessandro Sileo

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