#Lettere alla Redazione

25 Aprile un giro nella storia

Fino all’8 settembre del 1943 Potenza era stata risparmiata dai bombardamenti che flagellavano le grandi città italiane ormai da tre anni. I potentini continuavano a pagare il loro tributo di sangue mandando i loro figli a morire in Africa o in Russia, ma la guerra appariva comunque lontana. Le notizie venivano diramate con i comunicati radiofonici e con i giornali e, grazie alla propaganda del regime, il conflitto sembrava interessare solo le dune del deserto o le gelide pianure del Don.

La gioia immotivata dopo la notizia dell’armistizio, dovuta a una cattiva interpretazione di una comunicazione volutamente poco chiara, durò molto poco per la nostra città. Alle 20:30, la sirena lanciò l’allarme di un attacco aereo imminente e qualche ora dopo, i bombardieri americani iniziarono a sganciare le loro bombe su Potenza. Fu il primo dei bombardamenti subiti dalla nostra città che, non essendo un obiettivo strategico, doveva essere stata colpita solo per un errore tattico.

I residenti delle due “palazzine degli statali” di Corso Garibaldi, come tanti nostri concittadini, vennero presi alla sprovvista dall’allarme e decisero di rifugiarsi nello scantinato dello stabile nella speranza di trovare protezione.

Le parole di Leopoldo Petrizzi, uno degli inquilini che ebbe la lucidità di scrivere quella terribile esperienza annotando immediatamente le sue sensazioni, raccontano con estrema chiarezza la tragedia vissuta dalla nostra città. Decine e decine di persone ammassate, sedute nel lungo corridoio buio e polveroso, che ascoltavano in silenzio il ruggito dei bombardieri. Le canzoni cantate dalle mamme con la voce rotta dalla paura, nella speranza di calmare i loro bambini. Le domande sussurrate al reduce della Guerra di Spagna o al soldato che aveva combattuto in Africa Orientale per cercare risposte o avere rassicurazioni. Le grida disperate ogni volta che una bomba esplodeva sulle loro teste. Il tentativo di individuare l’obiettivo appena distrutto: “sicuramente, hanno colpito la stazione”. La paura quando il rumore delle bombe che esplodevano in rapida successione si avvicinava sempre di più. Il sollievo quando finalmente l’attacco finiva e il rumore assordante degli aerei sembrava allontanarsi.

Al mattino, dopo ogni bombardamento, lo scenario appariva sempre più straziante. Le strade alberate del capoluogo, un tempo ordinate ed eleganti, erano piene di crateri, gli edifici crollati, con l’aria satura di fumo e i cadaveri smembrati accanto alle macerie.

Alla fine di settembre, Potenza conterà centinaia di vittime, feriti e sfollati con decine e decine di edifici sventrati. I nostri concittadini tirarono un sospiro di sollievo solo con l’arrivo del contingente canadese che liberò la nostra città dai pochi tedeschi rimasti. Un sacrificio terribile che non deve essere dimenticato.

Per questo motivo l’associazione We love Potenza ha scelto di condividere questa storia con tantissime persone che, martedì scorso, hanno visitato lo scantinato delle palazzine di Corso Garibaldi e che hanno ascoltato con interesse le pagine del diario di Leopoldo Petrizzi. L’iniziativa, programmata solo il giorno prima, è stata accolta dai tanti potentini che hanno risposto con entusiasmo all’appello del Presidente. Non è un caso che sia stato scelto proprio il 25 aprile per raccontare questa vicenda in modo che venisse tramandata da una generazione all’altra. Tutte le persone presenti, l’una accanto all’altra nel lungo corridoio dello scantinato, hanno ascoltato con commozione le pagine del diario. Un racconto semplice, mai letto sui libri di storia ma forse già ascoltato dalle parole dei nostri nonni. Una vicenda dolorosa e coinvolgente. Forse perché è stata vissuta realmente dai nostri concittadini in luoghi che conosciamo bene. Ogni palazzo del centro di Potenza ha 1000 storie da raccontare. Basterebbe avere il coraggio di fermarsi un attimo e avere la pazienza di sentirle. Del resto, come dice giustamente Dacia Maraini “ogni storia nasce quando un corpo e una mente  si preparano all’ascolto”.

Lettera alla Redazione

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