Pentagrammi, le note interne di Andrea Galgano.
È vero che con le parole si possono far vivere mondi. Il nuovo libro di Andrea Galgano, Pentagrammi (Hermaion Edizioni) apre un ventaglio di universi varcati.
Sono poesie affacciate su cieli britannici, nuvole americane suonate nell’io più profondo dell’autore potentino. Esplora ed omaggia la storia, quella di molti come la sua, a chiedersi il colore di quelle soglie superate da miti consegnati alla totale assenza dell’elemento temporale. Sono passeggiate adolescenziali tra “colonne”, ascolti attenti e maturi, cd consumati, allacciati al vissuto.
“Il bagliore dell’Oriente lotta con il Signore delle Tenebre e l’arco della Regina della Luce è un fiore di nebbia”. Ci porta le luci del palco Andrea e l’atmosfera arriva, di anni di capolavori e certezze, vissuti sotto la coperta d’oro dei suoni, perché i Led Zeppelin come i Beatles non possono non aprirci il cielo nei passi. “Una notte mentre dormivo, il tizio del Queens mi disse che stavo per morire/ forse era un sogno”. Ci inizia ai suoni e sembrano contare le stagioni le poesie di Pentagrammi, le sfilate di chitarre e le grandi folle, gli stadi e le dediche, le Band (dalla lettera maiuscola). Gli amati Queen e David Bowie, i legami e le notti, gli studi di registrazione, Monaco e Londra, il giorno nella notte e viceversa. “Segni di vita e acqua spazzata dal vento/ nuvole di ombre e stretta di terra nera/ lucecielo/ anima volata nel tetto della notte”. Si sfogliano una ad una le lettere del suo personale universo interno a formare il bagaglio che diventa suono, che diventa nome, a poggiarsi sulle grafie del tempo per disegnarsi lo sguardo.
Libro di versi e mondi, respirati, toccati, stretti dentro come una storia, di album e voli e volti, profondità esplorate, come lui sa fare. Con gli anni sarà più dolce il sapore di questo libro e, con un sorriso in bianco e nero nei colori dei nostri oggi, diremo: però che capolavori ci hanno dipinto i cieli sull’andare.
Francesco Cosenza