Quanto vale la vita di un orso?

Orecchie arrotondate, ampie impronte e vero ricercatore di meraviglie.
L’orso è un animale schivo e solitario, tuttavia i contatti con l’uomo avvengono sempre più di
frequente. A volte anche nei centri abitati.
E in questo caso, si sa, l’uomo, tra tutti gli animali, non è il più bravo a condividere gli spazi con
gli altri esemplari.
Meno che mai se si tratta di animali selvatici che, come tali, possono divenire potenzialmente
pericolosi se impauriti per la propria incolumità o per quella dei propri cuccioli.
Ancor meno se questi predatori siano causa di danni alla zootecnia, all’apicoltura e
all’agricoltura.
Poco importa se, a conti fatti, si tratti di danni economicamente limitati.
Ma l’uomo continua a cercare ricette di virtù nei luoghi sbagliati. Avvolto dal territorio e dai suoi
fenomeni: incapace di uscirne, incapace di entrare nel suo profondo.
Le montagne, castelli della terra, vi sono sempre state ed in esse gli orsi, nobili monarchi.
Non si può pretendere che incedano con un ritmo che non gli appartiene e nè che vivano il
mondo con i limiti ed i confini che l’uomo impone. Non si può incolparli di razzie se sono costretti
a migrare nelle città pur di trovare un pasto.
Eppure basta la sola ombra di un orso per dividere l’opinione pubblica e dare vita alle reazioni
più disparate.
“La natura selvaggia contiene delle risposte a domande che l’uomo non ha imparato a porre”.
E allora…quanto vale la vita di un orso?
Un colpo di fucile.
Una mamma uccisa alle spalle.
Due orsetti orfani per mano dell’arroganza umana.
Il senso di paura ancestrale, intriso di rancore ingiustificato.
Lo sdegno immediato e la condanna senza appello della collettività.
Il risentimento verso il colpevole che, a sua volta, si spinge sino al limite della razionalità…lì,
dove risiede l’odio. L’odio dell’uomo.
Il peggiore tra gli animali.

Luisa Rubino