Dove sei? Rime senza fissa dimora. Le sale dalle parole colorate di Gianluca Caporaso.

Prendete un bel respiro e aprite il libro.
Il nuovo libro del potentino Gianluca Caporaso (Salani Editore). Prendete il respiro più lungo che avete per camminare le “sale” di questo libro. Un respiro lungo di occhi e di elastici che, partendo dalla memoria “quando ero bambino e chiamavo qualche mio amico per chiacchierare un po’, era inutile chiedergli dove si trovasse perché l’unico telefono che aveva era a casa”, arrivano sulle opere dei più grandi pittori.
Sono le rime del dove, del visibile colorato e riempito, dei luoghi fisici attraversati dalla fantasia, del quando e del perché. Delle linee sui sensi e sulle scelte, dell’oltre e dell’altrove. Torna sulle impressioni che sono state, per lui autore e forse per tutti. Dove sei? Chiede Gianluca Caporaso, forse per distendere il tempo e lanciarlo più colorato e riempito, su piani più larghi, per dirci: viveteli pieni i luoghi. Le superfici si allargano e una normale stanza diventa un regno. Forse è così che il mondo diventa un bel posto. Posto fuori posto, perché no, per il soggettivo guardare l’intorno. Entrano con la sua originale musicalità, tra le rime e i voli, il reale e l’irreale, il confine sottile oltre il numerico che cammina. L’infanzia è una terra sospesa, il talento sta nel conservarla luminosa, come una promessa scritta dentro, di purezza e giacche da indossare quando fuori è “scuro”.
“Cade la polvere sopra ogni cosa, tutto sta fermo e da tempo riposa: un giorno usato, una scatola rotta, un vecchio forno che adesso non scotta”.
Eccolo lo sguardo di Gianluca Caporaso. Storie quotidiane raccontate, oggetti delle vite, nelle vite di tutti che colorano un momento, la polvere di una soffitta nel tempo, scenario fermato. Un tempo che cammina e rimane, come un legame importante perché vissuto dentro. E poi le domande: dove abita la luna? dove finisce una linea? cosa divide il sopra e il sotto? Sono quadri nelle sale, scrive lui sui grandi, diventando il grande che è sempre stato. Perché torna piccolo, come noi dovremmo tornare ad essere, per vestire il mondo con quella nudità di sguardo di chi, sulla parete di un’aula di scuola elementare, ha visto danzare i nomi del mondo intorno al tutto che forse, continuiamo a cercare troppo lontani dal dentro.
Francesco Cosenza